La band guidata da Simon Le Bon ha conquistato gli spettatori di Capannelle mescolando con successo vecchi e nuovi brani. Un concerto ha convinto e coinvolto vasta una platea di intenditori, molti ovviamente tra i 40 e i 50, ma anche tra i più giovani
La scaletta della serata di apertura del PostePay Rock in Roma 2016 all’Ippodromo delle Capannelle, tappa del “Paper Gods Tour“, punta tutta sull’emozione, astutamente impostata sui grandi successi della band di Birmingham, con qualche strizzata d’occhio al nuovo disco “Paper Gods“, con la tracimante “Pressure Off“, cantata da tutto il pubblico.
Lo spettacolo si apre alle 22 (prima di loro le giovani BloomTwins hanno avuto l’arduo compito di scaldare il pubblico presente), con la simulazione di un temporale (qualche goccia era caduta in attesa del live), Simon Le Bon entra per ultimo e comincia proprio con “Paper Gods“. Poi, da zero a mille, la band scalda subito i fan con “Wild Boys“, “Hungry like a wolf” e “A view to a kill“.
Simon sa come coinvolgere il pubblico italiano, lo conosce bene, il ricordo degli anni d’oro nel nostro paese è ancora vivo, così con qualche parola nella nostra lingua e molta simpatia la sinergia è assicurata.
John Taylor è il vero motore del gruppo, come sempre, il suo basso pulsante, la sua tecnica superba danno linfa vitale a tutte le esecuzioni e risaltano particolarmente in pezzi come “Notorius” (Simon la introduce così: “Questa è del periodo funk, con Nile Rodgers!“). Il momento più forte è di sicuro l’omaggio a David Bowie, scomparso lo scorso gennaio, al quale i Duran Duran devono molto, come tanti artisti britannici, per i quali il Duca Bianco è stato fondamentale pioniere di suoni, stili e arte. Così accade che “Planet Earth” si trasformi magicamente in “Space Oddity“, in una sorta di corridoio spazio-temporale ideale.
Si balla, si canta, tanti i baci durante “Ordinary world“, l’episodio musicale più intenso scritto dalla band negli anni Novanta, seguite poi da “I Don’t Want Your Love” e “White Lines“. Alla serata è presente anche una nutrita rappresentanza di Duran Radio, la web station italiana interamente dedicata alla band d’oltremanica.
La parte finale tende al trionfo, con i classici insuperabili di sicuro effetto emotivo: “The Reflex” e “Girls on film“, che scatenano l’audience. Lo show finisce con due capolavori, tra di loro molto diversi, nei quali il basso di Taylor e le tastiere e synth di Nick Rhodes sono, giocoforza, protagoniste.
Una è la superballad “Save a prayer“, che ha fatto piangere e sognare almeno due generazioni, con quell’incedere struggente e quei versi scolpiti nella memoria:
“Some people call it a one night stand, but we can call it paradise”, “Alcuni la chiamerebbero storia di una notte ma noi possiamo chiamarlo paradiso”.
L’altra, superbamente segnata da una linea di basso complessa quanto vibrante, è la celeberrima “Rio“, title-track del LP campione di vendite.
Al cronista restano il suono e il sapore di una serata davvero piacevole, di un gruppo di veri professionisti, come si stenta a trovare oggi. Una band che ha saputo cavalcare le epoche e trovare sempre alte ispirazioni. Grande qualità al servizio di classici immortali.
Questa la scaletta del concerto:
Paper Gods / The Wild Boys / Hungry Like the Wolf / A View to a Kill / Come Undone / Last Night in the City / What Are the Chances? / Notorious / Pressure Off / Planet Earth/Space Oddity (David Bowie cover) / Ordinary World / I Don’t Want Your Love / White Lines (Don’t Don’t Do It) (Grandmaster Flash & Melle Mel cover) / (Reach Up for the) Sunrise / New Moon on Monday / The Reflex / Girls on Film
Encore:
Save a Prayer / Rio