In un mese in cui il diavolo “riveste” Prada, con Meryl Streep e Anne Hathaway impegnate nelle riprese del sequel, e nelle sale esce il remake di “Una pallottola spuntata”, il Porretta Soul Festival continua a far impennare affari e cultura, oltre che la popolarità del glorioso rhythm and blues afroamericano nell’Alto Reno bolognese
“È l’ultimo ricordo di una Porretta che fu, e che ritorna a essere turistica almeno per quattro giorni all’anno”, per dirla con Stefano Mazzoni, commercialista di lungo corso intervistato da Enrico Ciaccio. Mazzoni riflette che l’indotto del Soul ha per la zona un impatto pressoché incalcolabile, senza riscontri in nessun altro periodo dell’anno.
Per la trentasettesima avventura del festoso revival di una musica che sembra non invecchiare, nell’ultimo weekend di luglio ha tenuto banco la celebrazione del gemellaggio tra le due Soul Cities, ovvero Memphis e Porretta, sancito ufficialmente il 12 febbraio. Una sorellanza che, ci tiene a rimarcare il direttore e ideatore Graziano Uliani, “hanno voluto fare loro, non noi”. Sono sbarcati sull’Appennino, per la consegna delle simboliche chiavi, il sindaco di Memphis, Paul Young, e quello della Shelby County, Lee Harris, oltre a John Doyle, direttore esecutivo della Memphis Music Hall of Fame Foundation nonché del Rock & Soul Museum.
“So good to be back” dice John Németh nell’aprire la prima delle quattro serate, a capo dei Blue Dreamers. Ungherese di famiglia, memphisiano di acquisizione, mostra i motivi per cui è un bluesman pluripremiato in brani come lo storico “Blue Broadway” e il drammatico “Maybe the Last Time”. Altro atteso ritorno, quello del soul rocker dublinese Andrew Strong. Accompagnato stavolta sia dai conterranei Dublin Soul, i musicisti con cui aveva condiviso l’epopea del film “The Commitments”, che dall’intera formazione in trasferta dal Tennessee, la Memphis Music Hall of Fame Band, ha mostrato grinta e nervi da quartieri proletari ma anche qualche limite: molto bene “The Dark End Of The Street”, assai meno una sovraesposta “Take Me To The River”.
Rivedremo i Dublin Soul lungo il programma, per proprio conto, con il pianoforte e la voce di Eamonn Flynn, oppure in compagnia del bluesman di Dallas Captain Jack Watson, dalla pezza piratesca sull’occhio. Il generoso Watson, felice di avercela fatta dopo che un incidente lo aveva lasciato a casa lo scorso anno, rivela nello stile legami di famiglia: suo zio era Z.Z. Hill, uno dei responsabili della rinascita del soul blues degli anni Ottanta. È invece una novità assoluta a concludere: Al Kapeezy aka Al Kapone, che in un set ben collaudato aggiunge accenti hip hop a una base di blues e Southern Soul. Tradotto in scena, ammanettato, da due controfigure dei Blues Brothers, insinua nella hit locale “New Jewelry” un’inattesa parentela stilistica con J. Blackfoot.
La spettacolare band memphisiana, diretta con precisione e senso del groove dal tastierista Kurt “KC” Clayton, accompagnerà una bella schiera di personaggi. Le tre coriste, Shunta Mosby, Dani McGhee e Candy Fox, ovvero The Jewels, non deludono neppure quando sono richiamate in prima linea, con un repertorio soul ragionevolmente riveduto. McGhee, in particolare, le treccine che le arrivavano alle ginocchia, ha imposto un trattamento da vertigini a “I Pity The Fool”.
E si fa vedere qualcuno che non era neppure annunciato, come la cantautrice in blues Sandy Carroll, a confermare che quando Porretta è in vena di sorprese, i fuori programma sono sempre a vantaggio del pubblico. Persino quando piove; l’edizione 2025 è stata attraversata da una leggera perturbazione: una benefica frescura e un temporale, il venerdì sera, che non ha spaventato nessuno ma reso ancora più incantevole la performance di Jonté Mayon. Presentata come “the new generation queen”, la longilinea professionista, che come impegno principale fa le voci di sottofondo per Jennifer Hudson, visiterà con gusto malizioso e timbro un po’ nasale i canzonieri di Mavis, Tina, Roberta, Aretha e Gladys. Bastano i nomi.
Il dinamico, sorprendente Carlos Strong, che quando imbraccia la chitarra diventa un credibile bluesman del Mid-South, visto che si esibisce, come tutti, al Rufus Thomas Park, regala un’astuta “Push and Pull” in memoria di Rufus, una trascinante versione della “Supernatural Thing” di Ben E. King e una estesa “Purple Rain”, in chiave villaggio vacanze. Prince, en passant, è stato evocato anche da Rick Hutton; da sempre esemplare cerimoniere del Porretta Soul, lo showman anglo-toscano si è ritagliato con “Kiss” anche un meritato momento da protagonista canoro.
Vincent Carr, dall’inconfondibile apprendistato gospel, figlio minore del re del deep soul James Carr, che qui si esibì nel 1992, riprende invece con passione il repertorio di un padre che in realtà frequentò assai poco. “Ma grazie a questo festival, e a queste canzoni, mi ritorna vicino”, affermerà con sincero affetto dopo aver reso onore a “Pouring Water on a Drowning Man”, “Freedom Train” e “The Dark End of the Street”.
La torrida pantera Lil Rounds, il cui nonno lavorava per B.B. King, ha invece chiamato il pubblico delle prime file a ballare on stage e affondato il coltello nella carne, armata del lato più seducente della musica. L’instancabile Jerome Chism, già applaudito nel 2024, è ora l’uomo-copertina della rassegna: “I love Porretta and I know Porretta loves me” è il suo grido di battaglia, mentre il pezzo forte è un articolato omaggio a Wilson Pickett, con “Don’t Let the Green Grass Fool You”, “Mustang Sally” e “Midnight Hour”.
Perfettamente assortita e bilanciata, l’edizione trentasette non è stata tutta all’ombra del gemellaggio. Né gli artisti apparsi al di fuori della cornice della perfetta big band di Memphis si sono lasciati intimorire dal confronto. Si è detto di Németh e dei suoi Sognatori, ma pure le serate di sabato e domenica sono state rispettivamente aperte da due formidabili gruppi “alternativi”.
Domenica si è assaggiato il contagioso funk/blues della family band Blackburn Brothers, canadesi di Toronto e probabilmente gli unici della kermesse a eseguire un repertorio largamente autografo; guidati da Duane Blackburn, tastierista e arrangiatore, a pezzi devastanti come “Soul Survivor” alternano scaltre citazioni neoclassiche, magari mescolando Bill Withers e Marvin Gaye. La band, nonostante arrivi dal “profondo Nord”, rivendica una lunga discendenza dai “cercatori di libertà” che nell’Ottocento sfuggirono alla schiavitù del Sud degli Stati Uniti per raggiungere l’Ontario.
Sabato invece è toccato al settetto euro-americano di Crystal Thomas, arricchito dall’eccellente Sax Gordon e diretto dal chitarrista di Teramo Luca Giordano, bandleader di cui fidarsi a occhi chiusi. Thomas aveva lambito Porretta nel 2023, quando si era esibita a Lizzano in Belvedere per la collaterale rassegna Valley of Soul; ora il calendario le consente di calcare il palco principale in quello che forse è stato il concerto più riuscito dell’intera manifestazione. L’amabile Crystal suona il trombone – dote emersa quando militava al servizio di Johnnie Taylor – e canta con voce assertiva ma deliziosa. I timbri, i toni e lo humour hanno assimilato la lezione di stelle come Ruth Brown e Denise LaSalle, mentre il borderò comprende capolavori trascurati come “You Don’t Move Me No More” di Roscoe Robinson e “Let’s Go Get Stoned” di Brother Ray.
Insomma, un altro successo sotto ogni punto di vista: artistico, turistico, commerciale, istituzionale, persino gastronomico, con le ormai proverbiali specialità in mostra presso il fornitissimo Soul Food Village.
Per non dire dell’attrazione ormai fissa (ma, su richiesta, si muove anche) della Bluesmobile di proprietà dello svizzero Erwin Siesling, fisico del Cern e Blues Brother per meriti acquisiti.
A proposito di meriti, abbiamo rivolto i complimenti di rito a Graziano Uliani, tenace e lungimirante responsabile di tutta la baracca. “Come mai, Graziano, ti vedo così rilassato durante i giorni del festival? Fino a qualche anno fa eri una matassa di nervi, agitato, intrattabile”. “Cosa vuoi, col tempo mi sono reso conto che non posso pretendere di fare tutto io e ho iniziato a delegare”. Constatando con piacere che la sua creatura ha la maturità sufficiente per muoversi quasi da sola. Ma guai a perderla d’occhio!
Galleria fotografica a cura di Mariano Trissati e Tonino Novelli