Da sempre fedele sostenitrice di Amnesty International Italia, che nel 2010 le ha assegnato il premio per il brano “Mio zio“, Carmen Consoli torna a Roma, e lo fa sul palco dell’Eutropia Festival di Testaccio, per celebrare i quarant’anni dell’ONG da sempre in difesa dei diritti umani
L’artista siciliana ritrova dunque la stessa città in cui arrivò giovanissima, a soli 18 anni, per cominciare una carriera che le avrebbe dato poi molti successi, cominciando da Sanremo, come molti altri. E ci arriva dopo un iter anche non facile, senza più i grandi numeri di copie vendute nel periodo d’oro dei primi dischi, dal 1994 al 2002, con una maturità costruita su gioie (la maternità vissuta con estrema discrezione) e dolori (la perdita del padre), che si riflette perpendicolarmente sulle sue composizioni più recenti, che sono chiaramente più intrise di consapevolezza e amarezza.
La scrittura della Consoli resta sempre di alto livello: il suo registro stilistico, del resto, si è sempre solidamente poggiato su un superbo uso della lingua italiana e le sue canzoni sono ancora affreschi di umanità varia, ritratti di singolare femminilità, che talvolta tracciano con acume personaggi meschini e grotteschi. E poi, ovviamente, la musica: forte, energica e scarna, come nel suo album più bello, “Mediamente isterica” che non a caso viene ripescato qua e là nella scaletta del concerto.
La “Cantantessa” sceglie di cantare e suonare la sua chitarra accompagnata soltanto da un duo femminile (Luciana Luccini al basso e Fiamma Cardani alla batteria). Il risultato è un apprezzabile show, fatto di tanto rock, crudo e diretto, con un crescendo dicanzoni sapientemente spalmate per oltre due ore. L’inizio è affidato alla “Casta diva” della Callas, che sfocia in “Geisha“.
Poi sfilano “Sentivo l’odore“, “Ottobre” e la struggente “Fino all’ultimo“. Nel mezzo, l’amaro omaggio a Palermo di “Esercito silente“, un pezzo splendido, intriso di appassionato senso di appartenenza (“Davvero si può credere che questa città baciata da sole e mare saprà dimenticare le offese gratuite e le agonie sofferte, le lotte storiche di chi sfidò la malavita a suon di musica e poesia, gli sguardi attoniti della gente che non ha mai visto né sentito niente?!?”) e dopo anche la title-track “L’abitudine di tornare“.
La seconda parte del concerto è davvero coinvolgente: si va dall’acid-rock decadente di “Matilde odiava i gatti” e “Contessa Miseria“, alla salace ironia di “AAA Cercasi“, alla donna ferita di “Venere“, per sfociare in una tiratissima versione noise di “Per niente stanca“. Ma il bello, come se fosse un altro concerto, viene al momento del bis. Carmen imbraccia una nuova chitarra e sfodera un set davvero impressionante: “Oceani deserti“, struggente diario di un amore finito, seguita dalle celeberrime carezze di “Parole di burro” e poi da “Confusa e felice“, “Amore di plastica“, “L’ultimo bacio“, “Quello che sento” (in duetto con Marina Rei). Conclude alla grande, con “Besame Giuda“, che chiude il cerchio e ci restituisce una Carmen Consoli rigenerata, consapevole, matura. Mediamente straordinaria.
Foto d’archivio di Mariano Trissati