Il suo ultimo album “Ufficialmente Pazzi” è stato candidato alla finale del Premio Tenco 2015 che si terrà a Sanremo dal 22 al 24 ottobre. Paolo Pallante, cantautore tiburtino è reduce da una tournée di successo che lo ha portato in giro per l’Italia e l’Europa. Lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare la sua storia e il suo ultimo disco
Ha una laurea in chimica farmaceutica, una smisurata passione per Fabrizio De André, un grande amore verso gli animali, un altrettanto grande amore per il teatro. Ha capito che la musica era la sua strada, quasi per caso, da piccolissimo, seguendo le lezioni di chitarra che faceva la sorella e ascoltando i dischi delle sigle dei cartoni animati. Poi le prime esibizioni dal vivo, l’incontro con il jazz, la scoperta della sua vena teatrale, e la sua vita è cambiata profondamente. Paolo Pallante è stato selezionato tra i finalisti del prossimo Premio Tenco, per lui una sorpresa. Del resto per sua stessa ammissione fa “musica per il gusto di farla” e per lui vedere il suo nome tra i finalisti era cosa del tutto inaspettata. La sua è una musica talmente complessa, da risultare una perfetta miscellanea di stravaganze e virtù del miglior cantautorato italiano: a volte ermetico ed introspettivo come un Fossati o un De André dell’ultimo periodo, a volte naif, stravagante e pittoresco come Vinicio Capossela. Nei suoi dischi mescola a perfezione la sua anima jazz con il suo estro cantautorale, nessuna delle quali riesce a sopraffare l’altra, un perfetto equilibrio tra Dottor Jekyll e Mister Hyde. Nell’incontro che abbiamo fatto con lui, ne esce un profilo sincero e completo sull’uomo e sull’artista, dalle sue prime note suonate da una chitarra che amava “accarezzare”, agli incontri con Eric Daniel, Ellade Bandini, Erica Mou e Renata Balducci, tutte persone che per un motivo o nell’altro hanno segnato la sua vita ed il suo percorso artistico.
Paolo, raccontaci la tua recente esperienza dal vivo in terra di Puglia.
“La recente data pugliese così come quella precedente di Roma a Piazza del Popolo, faceva parte di un progetto di sostegno in favore dei diritti degli animali, che da molti anni porto avanti. Siamo tutti animali, anche l’uomo è un animale… Io combatto per i diritti di tutti. In Piazza del Popolo hanno partecipato molti artisti, scesi in favore del movimento degli Animalisti Italiani e di AssoVegan. Ho partecipato in qualità di musicista ed anche in Puglia, per un progetto simile al fianco del WWF, che ha inaugurato un centro all’interno dell’oasi marina protetta di Giovinazzo, dedito al salvataggio e al recupero delle tartarughe marine, che vengono curate e rimesse in libertà. Sono molto sensibile a queste cose: animali e uomini hanno gli stessi diritti”.
Da quanto tempo sostieni, in veste di artista, queste campagne in difesa dei diritti degli animali?
“Faccio quello che faccio da molti anni. Poi ho incontrato delle persone veramente speciali, come la presidente di AssoVegan, Renata Balducci che mi ha proposto di fare delle cose insieme. Parliamo di circa tre-quattro anni fa. Con loro faccio molte attività, una di queste sono i corsi scientifici per colleghi farmacisti. Poi la certificazione del mio disco “Vegan Ok”, il primo al mondo, nemmeno Morrisey ce l’ha. “Ufficialmente Pazzi” è un album ecologico al centro per cento, stampato su carta riciclata… è una piccola provocazione, ma ne vado orgoglioso di questa cosa. In futuro è prevista anche la stampa su vinile, non sai quanto ci tenevo a questa cosa. Il vinile l’ho sempre amato ed il ritorno prepotente del vinile nel mercato discografico, mi fa veramente felice!”
Come e quando ti scopri musicista?
“Vengo da una famiglia di artisti: mio padre pittore e mia madre pianista. Ho cominciato talmente tanti anni fa, da non ricordare nessun periodo della mia vita senza qualcosa da suonare tra le mani. Seguivo le lezioni di chitarra che faceva mia sorella, quando avevo cinque o sei anni. Lei non era tanto appassionata, ma quando presi tra le mani quella chitarra, fu un amore a prima vista. Accarezzavo quella chitarra. Poi trovai uno di quei vecchi organetti che si suonavano un tempo nelle feste di piazza… insomma la musica entrò subito nella mia vita. Ricordo quando con il preside della mia scuola elementare andavo a fare il “tour” per le classi prima di Natale. Suonavo le canzoni, facevo le imitazioni di un primissimo Massimo Boldi che faceva a quei tempi sketch di un cuoco toscano, io con un cappello da cuoco fatto da mio padre con carta da giornale in testa, mi divertivo molto”.
Quanto ha influito la tua famiglia nella tua scelta di fare il musicista?
“Direi molto: sono stato fortunato ad avere dei genitori che mi hanno sempre sostenuto nelle mie scelte. Da bambini è importante che si dia sfogo alla creatività ed al talento. Ai bambini viene spesso impedito di esprimersi come vorrebbero e viene loro impedito di avere una propria personalità ed una propria creatività. Credo che bisogna partire proprio dalle scuole a non reprimere la creatività dei bambini, che hanno invece delle potenzialità incredibili. Nella società di oggi, si tende troppo a puntare sull’omologazione“.
Il jazz. Quando lo scopri?
“Io ho da sempre due grandi amori che sono il jazz ed il teatro. Anche se ti confesso che il mio primo disco fu la special edition della sigla di “Capitan Harlock” e poi le altre sigle, come “Goldrake”. Poi pian piano la mia strada incontrò quella del jazz e della musica d’autore. Ed è stato incredibile proprio, scoprire che grandi musicisti come Ellade Bandini e Ares Tavolazzi, hanno cominciato con le sigle dei cartoni. Una delle più belle esperienze della mia vita fu proprio suonare con Ellade Bandini, uno dei più grandi musicisti italiani contemporanei, già batterista di De André e turnista di tanti artisti, suonando in dischi molto importanti della storia della musica italiana. Scrisse lui la sigla di “Goldrake” insieme ad Ares Tavolazzi, e fu per me un grande onore cantarla dal vivo, suonando insieme ad Ellade. La cosa più bella fu quando mi propose di provare insieme a lui qualche pezzo mio. Rimasi di stucco. Il senso della grandezza di simili artisti si misura anche da queste cose”.
E come furono accolti i tuoi brani in quel contesto?
“Molto bene. Quella serata avvenne in Puglia, regione che mi da sempre molte soddisfazioni. È una regione molto aperta musicalmente e pronta ad ascoltare. Una regione che ha sfornato moltissimi talenti, come Erica Mou, una grande artista e mia carissima amica. Ero a Bisceglie insieme ad Eric Daniel, quando la conobbi per la prima volta. Mi fu presentata da Marco Valente, un produttore discografico, che all’epoca curava questa giovanissima cantautrice. Lei aveva sedici anni, e mi chiesero di farle aprire il mio concerto. Io ed Eric dicemmo di si, e rimanemmo di stucco nel sentirla”.
Da li nacque un’amicizia con lei?
“Si, e siamo tutt’ora molto amici, lei è una persona carinissima. Ha partecipato come corista nel mio ultimo disco “Ufficialmente Pazzi“ e ne sono davvero contento”.
Perché questo titolo: “Ufficialmente Pazzi”
“Ti rispondo con l’aneddoto di mia nipote Bianca, che ha chiesto al papà: “ma zio Paolo è pazzo?”, il papà le rispose: ”guarda Bianca tutti noi siamo alla fine un po’ pazzi”. Quindi lei ha detto “Allora anche io sono un po’ pazza?”, e quando lui le ha detto di si, lei ha gridato: “Evviva!”. La follia e la normalità spesso si confondono, c’è un filo talmente sottile, che spesso non si nota nemmeno. Forse non esiste il confine, come non esistono follia e normalità. La follia è un termine che in psichiatria nemmeno si usa più. Perché non esiste, esiste la malattia, ma quella è un’altra cosa. Uno è folle rispetto a chi o a che cosa? Rispetto ad una società che si conforma in determinati comportamenti? Se nel mondo tutti portassero un cappello rosso sulla testa, chiunque non lo portasse, verrebbe visto come un pazzo. Allora il pazzo chi è? Uno che si pone in maniera diversa da noi”.
È un concept album sul tema della follia?
“Assolutamente no. Solamente nel primo brano, che è quello che da il titolo al disco, si affronta questo tema. Il testo è una poesia di Helena, una mia amica bosniaca, o forse serba o croata, non lo so… so che è slava, ma non mi interessa da dove precisamente proviene, il mondo non è fatto di barriere nazionali. Lei ha vissuto un dolore atroce, una storia troppo brutta per essere raccontata, ed ha trovato nella scrittura la forza di reagire. Attraverso un nostro amico comune, mi giunse il testo della poesia. Io da li sono partito, non solo per costruirci una canzone attorno a questa poesia, ma addirittura da li è nato via via tutto il disco. Io credo che noi, come genere umano siamo ufficialmente pazzi, perché stiamo distruggendo il nostro unico pianeta e ci stiamo autodistruggendo”.
La musica ci salverà?
“La musica? Io credo, che l’arte in genere potrebbe salvarci. Il compito di chi si occupa di forme artistiche o di comunicazione è quello di fare da antenna, raccogliere ciò che arriva e di ritrasmetterlo per dare una consapevolezza, creare una coscienza critica nella massa. Fabrizio De André disse: “L’attività di un cantautore è quella di mandare un messaggio che sia di crescita per tutti. Se non facessi questo, non potrei pensare a quello che faccio come un lavoro” Ed aveva ragione. Io a questa cosa ci credo profondamente”.
Da chi ti ascolta, hai la sensazione che raccolga il messaggio che vuoi trasmettere?
“Si, penso di si. Il mio è un pubblico di nicchia. Ma in quella nicchia io sto molto bene. Suono laddove so che la gente sta li per ascoltarmi. Ho un grande rapporto con loro, anche perché io mi racconto molto con loro, ci metto passione. Quando sto sul palco io non mi nascondo dietro maschere, sono esattamente come sono. Non ho bisogno, di fari, fumi, filtri, palchi giganti o mega schermi. Io posso suonare anche in una piazza, ma sono vero e creo un canale di comunicazione. Non fingo, anche se questo mi comporta di non percorrere determinati sentieri, io preferisco essere vero. Sono consapevole che se faccio bene quello che faccio poi alla fine i risultati che si aspettano, arriveranno”.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
“Ho in programma un progetto che si chiama “Tour nelle comunità” ma del quale non posso anticipare ancora nulla. A questo punto della mia carriera, ho finalmente un manager, ed è una persona favolosa che si occupa di me. Stiamo ragionando su questo tour, e presto comincerò a scrivere pezzi per un nuovo disco”.
La candidatura al Premio Tenco, per te cosa rappresenta?
“Una grande soddisfazione. Ho raramente preso parte a premi, non amo la competizione, scrivo musica per il gusto di farlo, mi piace e mi appaga, non faccio il centometrista, e non mi metto a gareggiare. Però un premio del genere, di qualità, molto ambito e credibile per quanto riguarda la musica d’autore, fa piacere assolutamente. Quando vedi il tuo nome in finale con De Gregori, Paolo Conte, i Subsonica, Max Gazzè, Niccolò Fabi e altri allora cominci davvero a pensare che quello che fai lo ascolta qualcuno e piace a qualcuno. Ed è una gran bella gratificazione, tutti hanno bisogno di gratificazioni”.
Vi lasciamo con il video del singolo “Tutto quello che resta (del perduto amor)“, scritto, suonato e arrangiato assieme ad Alex Britti, con Erica Mou ai cori, contenuto nel suo ultimo album “Ufficialmente Pazzi“.
L’album di Paolo Pallante è in vendita su CD e presso tutti gli store digitali, come Amazon e iTunes.