La recente pandemia, il blocco e le disposizioni legate al contenimento del Coronavirus hanno cambiato la nostre vite. Tra le attività che si sono fermate quelle legate al mondo della cultura e del sociale ne hanno certamente risentito di più e probabilmente saranno le ultime a tornare in pista. Niente cinema, niente teatri, set cinematografici e soprattutto nessun grande concerto
Dopo poco più di tre mesi, pian piano stanno cominciando a riaprire i musei, mantenendo sempre il “distanziamento sociale”, ma se è stata regolamentata la distanza tra tavoli o persone in piedi nei piccoli locali, ancora regna il silenzio su come riprendere quelle attività di accompagnamento musicale, che caratterizzano pub o taverne presenti nelle nostre città.
A dare un segnale di speranza al mondo della cultura, lo scorso 8 maggio si è svolta la consegna dei “David di Donatello”, premio cinematografico italiano, assegnato dall’Accademia del Cinema Italiano, che prende il nome dalla celebre statua omonima una cui riproduzione viene assegnata ai vincitori durante la cerimonia di premiazione, ma che nell’edizione di quest’anno si è svolta in uno studio vuoto e con i candidati in collegamento telematico.
Tra le categorie premiate, oltre al migliore attore, attrice regista e film, anche la miglior colonna sonora e il miglior musicista.
Incontriamo Raul “Cuervo” Scebba percussionista argentino dell’Orchestra di Piazza Vittorio che con i suoi compagni di avventura, hanno ricevuto il premio come Miglior musicista per il film “Il flauto magico di Piazza Vittorio”. Approfittiamo di questo incontro per conoscere lui, l’orchestra e parlare di musica in generale di questo momento.
Ciao Raul, intanto raccontaci il tuo percorso musicale e da dove nasce il soprannome “Cuervo”.
Sono nato in Argentina, da nonni e padre italiani, nel 1966 dove studio musica sinfonica fin da piccolo al conservatorio. Entro nell’orchestra sinfonica del Teatro dell’Opera e intorno ai 17 anni, piccolo, secco, moro e con il naso un po’ pronunciato; per tutti divento El Cuervo cioè Il Corvo e questo soprannome lo porto con me da allora.
Nel 1990, ho acquisito la cittadinanza italiana e ho deciso di mettermi in aspettativa dal Teatro dell’Opera per vedere cosa poter fare in Italia pensando di rimanere un solo anno, quest’anno invece festeggio i 30 anni su territorio italiano.
I miei strumenti sono le percussioni. Qui in Italia ho cominciato con diverse formazioni come i Chirimia (che facevano salsa), I Tamburi del Vesuvio, Olen Cesari e con artisti come Aires Tango di Javier Girotto che univano il jazz ai nostri suoni argentini, poi anche con Bungaro, Fiorella Mannoia ed altri. Nel frattempo insegno all’università della musica, al Collegium Artis e alla Saint Louis College of Music.
Sono stato fra i primi artisti a far parte del progetto l’Orchestra di Piazza Vittorio fondata a Roma nel 2002.
Raccontaci un po’ di questo progetto e come nasce; ricordiamo a chi non è di Roma che Piazza Vittorio Emanuele è il centro del quartiere Esquilino, molto vicino alla Stazione Termini e famosa per il suo mercato popolare.
Si infatti, proprio per il suo mercato, che ora è stato ridotto, e per la sua vicinanza alla stazione ferroviaria questa piazza era frequentata da persone di ogni origine e razza creando un arcobaleno culturale. In piazza abitava Mario Tronco, attuale direttore, che allora era tastierista degli Avion Travel; da artista si incuriosì di questa aggregazione di culture e voci e sviluppò l’idea di una orchestra polistrumentale e multiculturale che realizzò appunto nel 2002 insieme all’Associazione Apollo 11 e ad Agostino Ferrente.
Qual è il vostro repertorio e cosa significa per te far parte di un progetto simile?
La nostra è una realtà che definirei familiare, siamo un’orchestra che non esegue solamente una contaminazione di generi musicali, ma una vera e propria contaminazione umana.
Innanzitutto non siamo un’orchestra puramente sinfonica, ogni artista porta all’interno la sua cultura e la sua sensibilità e la cosa più affascinante è che dai molti strumenti e voci nasce “un suono”.
La definisco una realtà familiare perché alla fine è una convivenza fra culture, sono nate amicizie, amori, matrimoni, figli e anche divorzi, siamo cresciuti insieme.
Io non sono un virtuoso solista, la cosa che amo è da sempre stare in un’orchestra, essere supporto e parte integrante di questo “suono” che poi nasce.
Per il repertorio ci sono elementi compositori che creano pezzi originali che hanno caratterizzato i nostri concerti e i nostri spettacoli, “Il giro del mondo in 80 minuti” è uno spettacolo teatrale con una storia e delle scenografie e dei costumi.
Poi da orchestra non sinfonica ci siamo avvicinati alle grandi opere, abbiamo affrontato la “Carmen”, il “Don Giovanni” e per l’appunto “Il flauto magico”, riarrangiandolo con i nostri strumenti e con i dialetti che compongono l’Orchestra.
Il progetto che stavamo portando avanti prima che il Coronavirus ci fermasse era proprio “OPV all’Opera”, dove abbiamo unito le varie arie delle opere che ho già citato, cantandole in dialetto Swaili o Wolof (lingue del Senegal ndr.), suonandole con i vari strumenti caratteristici.
Tra l’altro abbiamo anche eseguito il “Va pensiero” e in rete è possibile trovare il video con la regia di Francesco Cabras. Nel video mi si vede anche bene dietro la gran cassa, mentre a volte nei concerti i miei strumenti sono un po’ nascosti.
Lo spettacolo del Flauto Magico è poi diventato un film che vi ha quindi portato al premio come Miglior Musicista.
Non era la prima esperienza cinematografica dell’orchestra, dopo il documentario sulla nascita della stessa che vi ha fatto conoscere al grande pubblico. Ma come raccontava la voce fuori campo è il primo premio alla prima candidatura ai David di Donatello.
Nei vostri spettacoli oltre che musicisti siete anche attori. Raccontaci qualcosa in più.
Si in effetti, oltre ai concerti veri e propri, abbiamo comunque all’attivo tre o quattro dischi con pezzi originali e cover riarrangiate con il nostro “sentire”; c’è stata una Carmen prodotta con il Teatro Stabile di Torino e la regia di Mario Martone, in cui ci fu chiesto di essere anche attori, insieme ai professionisti e ci alternavamo dalla “buca” dell’orchestra al palco. Faticoso ma divertente.
Quella nel film “Gli anni più belli” di Muccino, è solo una piccola apparizione, mentre faccio il mio mestiere di batterista.
Cosa è per te e cosa ti ha insegnato la musica?
Avendo cominciato da piccolo, ormai la musica per me è la mia vita, non saprei cosa altro fare se non musica, sono quaranta anni che lo faccio.
La musica mi ha insegnato molto e secondo me insegna in generale molto. Insegna ad essere paziente, a stare al proprio posto e il rispetto per gli altri a maggior ragione nell’esperienza d’orchestra. Ci sono strumenti che in alcuni pezzi hanno battute dopo ore di concerto e pure devi essere li pronto a fare il tuo mestiere.
A me personalmente ha insegnato ad essere tollerante, nella vita di orchestra in generale e figurati in un’orchestra multietnica dove le prove sono scandite da priorità di varie religioni ad esempio o dal rispetto per gli altri che mangiano cibi diversi dai tuoi. E poi ti apre la mente, ti permette di conoscere vari posti o persone.
Come diceva anche Ezio Bosso: la musica ti insegna ad ascoltare.
In effetti la vita di orchestra sarebbe un buon modello anche per la nostra società.
Veniamo alle dolenti note, lo sappiamo tutti come stanno le cose, ma come si vive da artista questo momento storico? Cosa si può fare?
Nessuno di noi era preparato ad un evento del genere, io non ho una soluzione da proporre, la cosa che più ti destabilizza è proprio questa incertezza.
Siamo di fronte ad un problema reale ed è chiaro che la soluzione della distanza sociale penalizza maggiormente le attività artistiche, la fortuna forse è che arrivando la bella stagione potremmo sfruttare al meglio le situazioni all’aperto.
Si deve capire, forse più la gente comune della politica, che dietro a chi appare sul palco c’è tutto un mondo di lavoratori che permettono che lo spettacolo si realizzi, da chi mette le luci a chi posiziona i microfoni nel nostro campo, ma in generale a tutto quel mondo definito “backstage”, cioè chi non si vede, chi non ha i “favori della scena”, ma comunque mantiene la propria famiglia e la nostra società in generale.
Per quanto a data da destinarsi, quali sono i progetti dell’Orchestra di Piazza Vittorio e i tuoi personali, se ce ne sono, di separati dall’orchestra?
Dobbiamo tornare a realizzare il progetto dell’Orchestra di Piazza Vittorio all’Opera, nei vari teatri, appena possibile e riprendere anche “Il flauto magico“ che ci ha dato questa soddisfazione, poi continuare a studiare, tenersi aggiornati ed ascoltare la musica che mi piace, la classica il jazz, la musica cubana.
Ancora grazie per il tuo tempo, in bocca al lupo per te, l’Orchestra e tutti gli artisti al momento bloccati.
Ringraziamo Antonella De Spuches (qui la sua pagina Facebook) per le fotografie, e vi invitiamo a seguire su Facebook sia Raul Scebba (qui), che l’Orchestra di Piazza Vittorio (qui).
L’Orchestra di Piazza Vittorio è nata nel 2002, ed ha all’attivo 5 dischi e oltre 1.300 concerti in tutto il mondo e rappresenta una realtà unica che trova la sua ragion d’essere nella commistione dei linguaggi testuali e musicali, nella ferma consapevolezza che unire culture e produrre bellezza. Una scommessa che cerca di tenere assieme continenti diversi, con le loro culture, i loro suoni e la loro storia. È composta oltre 100 musicisti provenienti da aree geografiche e da ambiti musicali molto diversi tra loro.
La formazione attuale dell’Orchestra di Piazza Vittorio è così composta:
Mario Tronco (Italia) – Fender Rhodes
Houcine Ataa (Tunisia) – voce
Fausto Bottoni (Italia) – trombone, euphonium
Emanuele Bultrini (Italia) – chitarre
Peppe D’Argenzio (Italia) – sax baritono e soprano, clarinetti
Sanjay Kansa Banik (India) – tabla
Awalys Ernesto “El Kiri” López Maturell (Cuba) – batteria, congas
Omar López Valle (Cuba) – tromba, flicorno
Zsuzsanna Krasznai (Ungheria) – violoncello
John Maida (Stati Uniti) – violino
Gaia Orsoni (Italia) – viola
Carlos Paz Duque (Ecuador) – voce, flauti andini
Pino Pecorelli (Italia) – contrabbasso, basso elettrico
Leandro Piccioni (Italia) – pianoforte
El Hadji “Pap” Yeri Samb (Senegal) – voce, djembe, dumdum, sabar
Raúl “Cuervo” Scebba (Argentina) – marimba, congas, percussioni, timpani
“Kaw” Dialy Mady Sissoko (Senegal) – voce, kora
Ziad Trabelsi (Tunisia) – voce, oud
Mohammed Bilal (India) – armonium, castagnette
Evandro Cesar Dos Reis (Brasile) – voce, chitarra classica e elettrica, cavaquinho
Amrit Hussain (India) – tabla
Eszter Nagypal (Ungheria) – violoncello
Giuseppe Smaldino (Italia) – corno
Altri musicisti che hanno collaborato:
Sylvie Lewis (Regno Unito/Stati Uniti) – voce, chitarra
Petra Magoni (Italia) – voce
Maria Laura Martorana (Italia) – voce
Mama Marjas (Italia) – voce
Simona Boo (Italia) – voce
Raffaele Schiavo (Italia) – voce
Hersi Matmuja (Albania) – voce
Cristina Zavalloni (Italia) – voce
Violetta Zironi (Italia) – voce