Raffinato ed elegantissimo come sempre, Mario Biondi chiude in bellezza l’anno musicale dell’Auditorium Parco della Musica, con il calore della sua voce ed il suo stile minimalista che bada all’essenziale
Non era facile riempire la sala Santa Cecilia, il teatro più grande del complesso dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, il 29 dicembre. Le festività in corso, i preparativi per Capodanno e tante altre ragioni, dagli inviti a casa di parenti ed amici, alla paura per gli attentati terroristici, ma alla fine la voce più “black” d’Italia, è riuscita a vincere la sfida, facendo il tutto esaurito in un giorno che difficilmente sarebbe riuscito ad altri.
Mario Biondi, nato Mario Ranno, figlio d’arte, originario di Catania, oggi un po’ cittadino del mondo, amato e rispettato, seguito da un numero sempre maggiore di persone, che solitamente, come si usa in Italia, non avrebbe mai seguito un blues man così raffinato, che canta in inglese con una voce così simile a Barry White da confondersi, che nasce in Sicilia, invece che nel sud degli Stati Uniti.
L’esterofilia italiana, in questo senso si tradisce, quando si ha davanti un artista come Mario Biondi, partito dai cori gospel, cresciuto come turnista nelle sale di registrazione per etichette di nicchia e arrivando dal 1988 a fare da spalla nientemeno che a Ray Charles.Insomma, la classica favola a lieto fine del ragazzo di provincia che diventa un grande.
Ma veniamo al racconto del concerto del 29 dicembre scorso. L’entrata in scena è con un trolley sullo sfondo di quello che sembra un aeroporto. Mario è in abito scuro, saluta il pubblico ed apre con “Open Up Your Eyes“, per poi seguire con “Nightshift” e “Rio De Janeiro Blues” dove abbandona il classico stile soul per portarsi più su uno stile che strizza l’occhio alla bossa nova e alle origini stilistiche del samba e del cool jazz.
Arriva poi il momento di “Fly Away” e quindi della presentazione del primo elemento della sua band: Massimo Greco alle tastiere e programmazione, poi il polistrumentista David Florio alle chitarre, percussioni e flauto, presentato in occasione del brano successivo “I Chose You“.
Biondi, nel corso del concerto si mostra come un uomo di spettacolo a tutto tondo, capace di intrattenere il pubblico, con racconti, gag con gli elementi della sua band, facendo trascorrere il tempo senza risultare mai banale o scontato.
Parla dei suoi esordi e della musica che ascoltava ai quei tempi, senza risultare mai troppo noioso o patetico, come spesso accade per gli artisti che parlano del loro passato.
Con il trascorrere del tempo, il pubblico si scalda e l’atmosfera con esso: il concerto sale d’intensità, anche perché si avvicinano i successi più amati dal pubblico. Arrivano in sequenza “Funky Stuff“, “All I Want Is You“, nel quale vengono presentati gli altri elementi dell’orchestra che lo accompagna in questo tour: Marco Scipione al sassofono, Fabio Buonarota alla tromba, Federico Malaman e Alessandro Lugli, rispettivamente al basso e alla batteria e quindi “All Of My Life” e ancora la bellissima “I Can’t Read Your Mind“.
Un concerto che si chiude con “What You Have Done To Me” e la sensuale “Ecstasy“, prima del bis finale che include “Shine On” e con pubblico visibilmente soddisfatto che accompagna sulle note dell’ultimo brano “This Is What You Are“.
Questa la scaletta del concerto:
Open Up Your Eyes / Nightshift / Rio De Janeiro Blues / Fly Away / There Is No One Like You / Love Is A Temple / Blind / I Chose You / Lowdown / My Girl / Funky Stuff / All I Want Is You / All Of My Life / I Can’t Read Your Mind / What You Have Done To Me / Ecstasy
BIS: Shine On / This Is What You Are
Galleria fotografica a cura di Fabrizio Di Bitonto