Un Rufus Thomas Park gremito in ogni ordine di posto… Come sempre la prima vera giornata di musica è quella del venerdì!
Si inizia puntuali con la band di Fred Wesley: funk puro sin dalle prime battute con una sezione di fiati precisa, impeccabile con un Fred in forma smagliante anche se il suo suonare seduto stride con l’energia dei pezzi che propone. La tromba riesce a toccare note che vanno su, ma molto su, con una semplicità disarmante e tu ti ritrovi incantato a seguire la musica affascinato dal ritmo travolgente. Nota di plauso per il bassista che a mio parere è stato elemento di notevole efficacia. Un’ora di puro funk: “Soul power!”
A seguire la Bey Paule band: 10 elementi comprese le coriste.
Antony Paule è musicista esperto e capace, suona una Gibson regolata in modo magistrale e guida la band in maniera impeccabile. Tutto ruota attorno agli arrangiamenti che ha improntato per la sua chitarra: lancia riff, fraseggi, cambi di marcia, semplicemente evidenziando un accordo, o appoggiando un cambiamento di passo con note pulite, squillanti e decise.
La band si scalda con due pezzi delle coriste e poi ecco sul palco la Falisa Janaye, tutta di bianco vestita. La ragazza ha energia da vendere e buona esperienza, fa del buon soul ed il pubblico apprezza, ma tutti sappiamo che la parte del leone la farà a breve Frank Bey che arriva sul palco anche lui con una mise bianca.
È elegante ed austero, musicista della vecchia scuola e si sente già dalle prime note che la sua voce calda, e profonda ci regala. Una bella accoppiata quella tra Antony e Frank: due modi di interpretare il soul in modo tradizionale ed elegante. Ti accorgi dell’intesa che c’è tra i due e ne godi a vedere e a sentire i due. La voce è quella calda e rassicurante tipica di una certa scuola e la chitarra fa quello che è richiesto da questa musica: accarezza le note e gioca a fare da contraltare alla voce di Frank Bey.
Tra l’altro una mia piccola notazione, è quella di vedere anzi di non vedere sul pavimento ammennicoli vari, pedali ed effetti, ma solo la piccola pulsantiera dell’ampli fender per il tremolo e per il cambio di canale. Musica pulita insomma, che più pulita non si può!
La sezione dei fiati è encomiabile con una Nancy Wright in forma smagliante: la sassofonista conosce il pubblico di Porretta e questo lo si capisce bene. Anche per questa band, notevole l’apporto del bassista Paul Olguin che con il suono potente e sicuro guida assieme al batterista (Derrick Martin) la sezione ritmica. E qui il batterista merita una menzione tutta sua: potente, irriverente, ordinato, preciso, interprete… Ogni brano lo vive in maniera tutta sua e lo senti già al momento di contare il tempo. È uno spettacolo nello spettacolo vederlo suonare così energicamente e in modo partecipato fino all’inverosimile. Si lascia possedere dalla musica e spesso alla fine dei brani lo vedi volare letteralmente in alto: energia all’ennesima potenza. Fantastica la sua performance con le bacchette, allorché lascia il suo posto e se ne va tra il pubblico, suonando con tutto: Il marmo del corrimano, l’acciaio del traliccio…
L’esibizione di Frank Bey termina con il brano “Imagine” che fa tornare tutti indietro al Porretta del 2014, che l’artista scelse, sempre come brano finale della sua performance.
Stan Mosley poi si propone come interprete di quel genere raffinato di soul che regala sensazioni vive e corpose, ma non fa decollare l’atmosfera, come invece fa Theo Huff che lo segue. La sua interpretazione di “Try A Little Tenderness” trascina tutti ed il pubblico apprezza, si alza, partecipa, inizia a ballare e l’atmosfera cambia in un attimo.
A chiudere la serata la performance di George McCrae un grande interprete di musica soul, funky e disco, che nel 1974, con il brano “Rock Your Baby” ha scalato le classifiche negli Stati Uniti e Regno Unito.
Si avvicina la terza serata, e il clou con la regina di Porretta Toni Green e Bobby Rush, autentica leggenda della black music.
Galleria fotografica a cura di Mariano Trissati