C’era una volta una favola inglese, anzi c’è ancora. Tony Hadley, carismatica voce degli Spandau Ballet, racconta la sua versione dei fatti, nuda e cruda. Il gruppo britannico, che ha venduto oltre 25 milioni di copie diventando una stella nel firmamento dei leggendari anni Ottanta, nato con un altro nome nel 1976 e scioltosi nel 1990, è tornato alla grande proprio quest’anno
La reunion con “Soul Boys of The Western World” sta bruciando ogni record, e una tournée partita a ottobre del 2014 ancora in corso, molte date di successo in Italia e altri appuntamenti a partire dal prossimo 6 luglio.
Il libro di Tony Hadley si intitola “To cut a long story short” ed è emblematico per due motivi, uno legato all’espressione, che in inglese suona pressappoco come un’affermazione perentoria (“Per farla breve”) e l’altro che è una citazione del primissimo singolo pubblicato dai cinque ragazzi londinesi. Le parole sono molte, tanti gli aneddoti fedelmente riportati da Hadley sulla base anche della collaborazione alla stesura da parte del batterista John Keeble, amico di una vita. Molto anche il risentimento nei confronti di Gary Kemp, chitarrista e autore di tutte le canzoni, con il cui ego di frequente il cantante si scontrò, rancore che poi sfociò nella citazione in tribunale del 1999, con i diritti di pubblicazione ed esecuzione dei brani a fare da oggetto del contendere. Si parte dalle umili origini operaie ad Islington, nord di Londra, una famiglia di cui Hadley è un po’ il figlio-pecora nera: da subito darà problemi e grattacapi a scuola e fuori, con frequentazioni spesso pericolose e fuorvianti (non c’erano molte alternative alle gang giovanili nei quartieri dell’East End, all’epoca). Lungo sarà il percorso che lo porterà a capire la strada da seguire e il colloquio con l’amatissima nonna lo aiuterà a vincere ogni resistenza dei suoi genitori e a convincerli che l’unica cosa che vuole fare è il cantante di un gruppo pop. A lei Tony giura anche di non drogarsi mai e, stando a questa biografia, tiene fede al suo giuramento, non menzionando nella promessa l’alcol, che invece è tuttora presente (il racconto di alcune sbornie in tour è insieme triste e comico).
L’ascesa della band, un successo planetario che però non riuscirà mai a conquistare completamente gli Stati Uniti, i concerti senza sosta, le pressioni dei discografici e il fanatismo esasperato (soprattutto in Italia), il grande senso di amicizia, lealtà e divertimento che tengono banco dal 1980 al 1989 sono davvero una bella favola da leggere. Tony idolo delle fan, che non ha mai tradito la sua prima moglie Leonie, dalla quale ha avuto tre figli, nemmeno nel momento di massima perdita di controllo, grande istrione del palco, voce incredibile dai tanti colori, che spazia dal soul al funky al pop allo swing (quest’ultimo più presente nella sua carriera solista, iniziata nel 1991), uomo ferito che a un certo punto del libro, la fine, giura a se stesso che non si riconcilierà mai più con l’ex amico Gary.
La storia, quella di questi ultimi anni, è andata però diversamente e gli Spandau Ballet si sono ritrovati, partendo proprio dalla pace davanti a una birra in un pub londinese (di cui si parla anche nella biografia di Gary, “I know this much”) e sviluppandosi poi nel 2009 in una prima tournée (Reformation Tour) e poi quest’anno, con i suddetti live che ancora continuano, più tre canzoni nuove in un greatest hits.
A volte le favole possono anche avere due finali.