Anteprima nazionale del film “Faber in Sardegna” all’Auditorium Parco della Musica. Gli anni della permanenza sull’isola raccontati in prima persona dalla moglie Dori Ghezzi e da coloro che hanno frequentato Fabrizio De André durante il periodo del “buen retiro” gallurese
“La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattro mila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso.” raccontava Fabrizio De André, circa la sua scelta di ricavarsi un eremo di pace, riflessione e tranquillità in Gallura, luogo nel quale De André ritrovò se stesso e la sua dimensione.
In questo film di Gianfranco Cabiddu è la moglie Dori Ghezzi, principalmente, ma anche tanti amici che frequentavano la sua tenuta dell’Agnata, a raccontare rapporto tra De André e quel luogo speciale, che fece innamorare il grande cantautore genovese. Alla prima nazionale presentata al “Teatro Studio Gianni Borgna” di “Faber in Sardegna” erano presenti la stessa Dori Ghezzi, Cristiano De André il regista Gianfranco Cabeddu tantissimi artisti come Paolo Fresu, Danilo Rea, Rita Marcotulli e Maria Pia de Vito in rappresentanza del Festival Time in Jazz di Berchidda che organizza i concerti omaggio all’Agnata ogni anno per ricordare Faber e il suo periodo di ritiro in Gallura.
Presente anche il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini e molte altre autorità. Il film, della durata di un’ora circa (58 minuti per l’esattezza, quasi per scandire gli anni di vita di De André che ci ha lasciato a soli 58 anni) è un documentario musicale prodotto da Clipper Media in collaborazione con Rai Cinema. Tra immagini suggestive e mozzafiato dei posti stupendi della Sardegna tanto cara a Fabrizio De André montati insieme a rare immagini d’archivio che ritraggono Faber all’Agnata, e le testimonianze di Renzo Piano, che spesso lo andava a trovare, e dei fattori, amici di De André durante quel periodo e della stessa Dori Ghezzi; troviamo un De André diverso dall’immaginario che ognuno si è fatto di lui.
Un De André che guidava i trattori, zappava la terra, mungeva le vacche, potava gli ulivi. Un De André contadino, che nel documentario si racconta, come in quel periodo si iscrisse anche alla Coldiretti, tanto aveva preso sul serio questa sua rinnovata passione per la terra, la natura e l’agricoltura. “Mi sento più contadino che musicista. Questo è il mio porto, il mio punto d’arrivo. Qui voglio vivere, diventare vecchio…” amava dire. Ma la musica di Faber in quel periodo proprio, raggiunse la sua maturità più elevata. Dalle esperienze, gli incontri e anche dalla tragica disavventura del sequestro che subì, rimanendo in mano ai rapitori per quattro lunghissimi mesi, insieme alla moglie, De André trasse spunto per due album fantastici come “Fabrizio De André” meglio conosciuto come “L’Indiano” del 1980 e “Crêuza de mä“, quattro anni dopo. In quei due album si trovano capolavori come “Il canto del servo pastore“, “Fiume Sand Creek“, “Se ti tagliassero a pezzetti“, “Crêuza de mä“ e soprattutto “Hotel Suprammonte” che parla proprio della sua esperienza di vittima di un sequestro di persona.
A termine del film, un lunghissimo applauso ha sincerato l’apprezzamento del pubblico per questa proiezione, che da gennaio sarà nei cinema italiani, come anticipato dallo stesso regista Cabiddu. Grande la commozione della compagna di tutta una vita di Faber, Dori Ghezzi e di Cristiano De André il figlio del cantante che non ha lesinato parole d’elogio e di sorpresa per questo film. Anche loro lo vedevano per la prima volta: “È stata una piacevole sorpresa anche per me, che mi rivedevo questa prima volta in questo film” – ha affermato Dori Ghezzi. Sono contenta di vedere ancora come Fabrizio sia rimasto nel cuore di tanta gente e come nessuno lo abbia mai dimenticato. Quest’omaggio rende ancora più viva la sua presenza tra di noi“.
In realtà quello che si narra in questo film, non è proprio la vita di De André, bensì il racconto di un sogno: “Questo film racconta di un sogno chiamato Agnata“, dice Dori Ghezzi all’inizio del film. L’Agnata oggi è un’importante azienda agrituristica che parte proprio da quel sogno che Faber aveva, di vivere più a stretto contatto con il mondo rurale (un po’ come amava anche Pasolini), con le tradizioni delle terre di confine, con la natura e le cose vere della vita. I sardi vennero paragonati da De André un po’ agli ultimi indiani, infatti proprio a vedere il rapporto che i pastori sardi avevano con la natura che li circondava, ne nacque l’album “L’Indiano” (“Fabrizio De André”) che ha tra le sue canzoni “Fiume Sand Creek” che ha per tema un reale massacro di pellerossa, avvenuto il 29 novembre 1864.
A chiusura di serata, bellissimi momenti si sono avuto con Rita Marcotulli, Paolo Fresu e Maria Pia de Vito, che in chiave jazz, pianoforte, tromba e voce hanno improvvisato in maniera stupenda brani come “Bocca di Rosa” , “La Canzone di Marinella” e “La Canzone dell’Amor Perduto“.